Bucarest

Stralcio dall’articolo della Dott.sa Anca Maria Mihaescu – “La politica di urbanizzazione durante il regime Ceausescu” cultura rumena – 2009

Con l’insediamento del cosi-detto “governo democratico” il 6 marzo 1945, assistiamo alla nascita del regime ateo-comunista in Romania. Con l’insediamento dei comunisti in Romania, iniziò un processo di ricostruzione del passato, della memoria, complesso ed esteso ad ogni settore della vita romena.

L’arrivo di Ceauşescu al potere nel 1967 come Presidente del Consiglio di Stato e, a partire dal 1974, come Presidente della Repubblica, trova nuovi profili dello Stato. Nel marzo 1974 è creata una nuova carica istituzionale: quella di Presidente della Repubblica, alla quale Ceauşescu è eletto all’unanimità dalla Grande Assemblea Nazionale. In questa occasione Ceauşescu sceglie di apparire con uno scettro. La sua qualità messianica, di eletto del destino, è materializzata in quella di un rappresentante del popolo.

La demolizione era evidentemente una passione di Ceauşescu, che aspirava ad operare giganteschi traslochi di spazi e di tempi, a spostare chiese e villaggi, a essere lo spedizioniere capo di una ditta di trasporti che imballa e trasloca lo scenario di secoli. Il progetto di Ceauşescu vuole estirpare la tradizione.

Fino alla caduta del regime di Ceauşescu nel 1989, almeno 29 città sono state completamente ristrutturate, mentre altre 37 erano in corso di ristrutturazione e la sistemazione rurale era già iniziata seriamente con la demolizione dei primi villaggi a Nord di Bucarest. La politica ufficiale prevedeva entro l’anno 2000 la demolizione di 7.000-8.000 villaggi dei 13.123 esistenti e la loro sostituzione con 500 centri agro-industriali.

Una tale politica ignorava il semplice fatto che la più grande risorsa di una nazione è il suo popolo, e che la soppressione del popolo attraverso la privazione di iniziativa non può far altro che dissipare questa risorsa.

Nel settembre del 1985 è stato ufficialmente dichiarato che entro l’anno 1990, il 90-95% degli abitanti di Bucarest avrebbe dovuto vivere in nuovi condomini, rendendo così la capitale un esempio per tutte le altre città della Romania. È stato simultaneamente annunciato che la ricostruzione dei villaggi avrebbe dovuto essere completata entro 15 anni.

Le cifre rilasciate in marzo e giugno 1988 parlavano della sparizione di approssimativamente 900 comuni dei 2.705 esistenti e la riduzione del numero di villaggi, dal presente livello di 13.123 ad un massimo di 5.000-6.000. In questo modo, approssimativamente 7.000-8.000 centri rurali sarebbero dovuti scomparire dalla carta geografica della Romania, mentre ai residui sarebbe toccato un intervento parziale, ma comunque estesissimo, in misura del 90-95%. Questo è il risultato di un processo iniziato negli anni del secondo dopoguerra.

Tutti gli sforzi fatti alla fine degli anni ’70 e durante gli anni ’80 per fermare la distruzione del patrimonio tradizionale non hanno dato che pochi risultati. Fino al 1989 al meno 29 città sono state distrutte fino al 90%: Suceava, Botoşani, Paşcani, Iaşi, Roma, Piatra-Neamţ, Bacău, Vaslui, Huşi, Bârlad, Tecuci, Focşani, Galaţi, Râmnicul Sărat, Buzău, Mizil, Ploieşti, Piteşti, Slatina, Craiova, Râmnicul Vâlcea, Giurgiu, Slobozia, Călăraşi, Medgidia, Tulcea, Constanţa, Mangalia e Baia Mare.

L’architettura e il tessuto urbano tradizionali sono stati cancellati e sostituiti dalle abitazioni collettive con tanti appartamenti e con una rete stradale diversa.

È sorto un nuovo mondo urbano completamente opposto a quello di prima e senza nessun collegamento con il passato, ma con monumenti storici isolati e pochi altri edifici mantenuti per essere nascosti tra le nuove costruzioni.

Gli ideatori di questi progetti promuovevano la nuova sistemazione, escludendo qualsiasi riferimento alla città precedentemente spianata.

Nel 1980 il centro civico di Bucarest fu proclamato come una realizzazione che rappresentava un’unica epoca storica, il più importante progetto di sistemazione e costruzione mai concepito in Romania. Una volta che la demolizione fu decisa non rimase nessuna possibilità di scelta per i cittadini. Gli ex-proprietari furono costretti a spostarsi in appartamenti di proprietà dello stato e diventare affittuari. I nuovi spazi abitabili furono affittati secondo i criteri fissati per legge: un monolocale per una persona o una famiglia senza bambini, senza riguardo alla casa o l’appartamento precedentemente espropriati e distrutti.