Negli ultimi giorni sono usciti diversi articoli che fanno riferimento alle aree delle ex-officine Guglielmetti a Ponte Carrega: secolo XIX del 31-01-2015 “Talea torna alla carica per la Coop nell’ex deposito Guglielmetti”, oppure quello del 29-01-2015 “Il Bisagno non è esondato in piazzale Bligny così la Coop alla Guglielmetti è salva”.
Questi articoli, insieme ad altri usciti in questo periodo, sembrano voler far intendere al lettore che ci sia una specie di “incubo” per il Comune nel caso in cui il progetto del grande “mall” di Coop non si possa realizzare per imprevisti impedimenti legati alla sicurezza delle aree e allo stato di emergenza per il rischio idrogeologico.
Le cose non stanno così.
Lo sa bene il Consiglio comunale che durante una commissione del settembre 2014 mise a tacere un dirigente del Settore Urbanistica che faceva intendere ai consiglieri il diritto di Coop di chiedere i soldi indietro in caso di voto contrario del Consiglio alla doppia variante al Puc, che ad oggi non prevede in quell’area una destinazione ricettiva (albergo). Il voto di un Consiglio Comunale è un voto sovrano e una impresa che abbia fatto i conti senza l’oste deve considerare l’alea derivante dal rischio d’impresa che grava su qualsiasi imprenditore di questo mondo. E’ impensabile infatti che un qualsiasi operatore possa comprare un’area “chiavi in mano”, incluso il cambiamento climatico e le diverse valutazioni del rischio idrogeologico, varianti e cambiamenti del piano urbanistico, che per forza di cose passano dal voto sovrano del consiglio comunale. Si tratta chiaramente di fantascienza: tuttavia i giornali sembrano intendere proprio questo, affermando che il costruttore ha, a suo tempo, comprato un’area con le dovute rassicurazioni politiche e soprattutto giuridico-contrattuali circa il buon esito della propria operazione e la realizzazione del centro commerciale e tutto ciò che ne consegue (albergo compreso, anche se non è previsto dal Puc?). No, noi non ci crediamo e rimaniamo dubbiosi sulle affermazioni fatte dai giornali: davvero qualcuno si è premurato di assicurare a Coop ogni tipo di garanzia non solo politica, ma anche contrattuale, circa la realizzazione di una attività ricettiva non prevista nè dal piano regolatore del 2000 nè dall’attuale Puc adottato in attesa del nuovo?
Per chi non ha seguito questo caso sin dall’inizio vorremo fare chiarezza su alcuni punti:
L’area delle ex officine Guglielmetti fu venduta il 5 febbraio 2010 dalla società AMI spa in liquidazione attraverso un pubblico incanto a cui partecipò una sola società: la Talea (Coop), che risultò ovviamente il vincitore (aperture delle buste avvenuta il 5 marzo 2010) Il bando prevedeva come base d’asta un costo di 25.000.000 euro.
(Vedi articolo: Repubblica http://genova.repubblica.it/cronaca/2010/03/02/news/l_officina_dei_bus_guglielmetti_diventa_un_centro_commerciale-2617001/)
L’area acquisita da Talea era già stata destinata ad avere un indirizzo urbanistico compatibile per un eventuale ampliamento del centro commerciale esistente. La trasformazione ha assunto specifica rilevanza con la variante urbanistica a cui si rimanda agli atti della D.C.C. n°57 del 28 luglio 2009.
Si ricorda che alla vendita delle aree si era opposta la Provincia, che però diede il via libera alla cessione delle aree con atto dirigenziale n. 5753 in data 29/09/2010 dove no ha più ravvisato profili di illegittimità su detto provvedimento, riscontrando il superamento dei rilievi formulati in precedenza.
(a gara già vinta)
(Vedi articoli: Il secolo http://www.ilsecoloxix.it/p/genova/2010/11/12/AMbbFIFE-polo_commerciale_valbisagno.shtml)
Proprio il dubbio sulla legittimità dell’operazione di vendita, ancora in essere durante le fasi dell”asta e nel periodo successivo, potrebbe aver indotto a scrivere nel contratto di vendita una clausola di salvaguardia per tutelare il compratore, ma questo è normale.
In base a questi fatti l’intervento di ampliamento del centro commerciale Coop è legittimo e conforme alla destinazione urbanistica assegnata alle aree. Quindi i giornali hanno ragione fino a questo punto: la realizzazione di un centro commerciale in continuità con l’adiacente centro commerciale Bisagno di piazzale Bligny è un diritto acquisito da parte del costruttore.
Quello che non era previsto al momento della gara e non è tuttora previsto dal piano regolatore è la funzione ricettiva delle aree, ovvero la possibilità di costruirci un albergo, cosa che invece Coop ora si prefigura voler fare per massimizzare il valore immobiliare delle aree che nel frattempo sono diventate meno appetibili, sia per la crisi, sia per l’inflazionata presenza di capannoni vuoti presenti in città e in tutta la Val Bisagno (edificio per il Bricoman compreso, in parte invenduto). Chi andrebbe mai ad acquistare una parte dell’ex struttura Guglielmetti per aprire una attività commerciale, quando quell’area è stata acquisita dal comune per una cifra “monstre” di 26 milioni di euro (contro un valore commerciale di 8 milioni), quando a pochi metri e in tutta la Val Bisagno ci sono capannoni sfitti che possono essere affittati per molto meno? Questo è quello che deve aver pensato la Sogegross quando nel 2010 fu approvato l’edificio per il Bricoman: perché insediarsi nell’area Guglielmetti quando posso usufruire di spazi meno costosi nel nuovo edificio a fianco? Ecco quindi che per rientrare dell’investimento oneroso, ormai compromessa la destinazione commerciale e preso atto che quella industriale residuale non è mai potuta decollare (anche se una attività legata alla produzione di cibo integrata al centro vendite sarebbe potuta essere una buona alternativa), ai proponenti non rimanevano che due scelte: lasciar da parte una buona porzione di capannoni in attesa di tempi migliori, ma lasciando l’investimento fermo e andando in perdita; oppure proporre una diversa destinazione d’uso: quella ricettiva e quindi l’albergo.
Come associazione abbiamo sempre sostenuto che questo cambio di destinazione d’uso è migliorativo rispetto alle precedenti destinazioni, ma tuttavia questo deve avvenire con un disegno architettonico idoneo al contesto delle aree urbane esistenti che sono storicamente consolidate.
Contrariamente a queste considerazioni il progetto presentato da Coop-Talea si è presentato da subito incapace di sposare questa logica migliorativa, come forse era nelle intenzioni dei proponenti: le modifiche già apportate dimostrano quanto fosse stato tenuto di poco conto il tessuto urbano del quartiere e del suo territorio. Si ricorda che in prima istanza il progetto era stato presentato addirittura con una rampa elicoidale altra 18 metri davanti al borgo storico e alle case di Ponte Carrega (per intenderci una rampa elicoidale del tipo presente in Lungo Bisagno presso la concessionaria Peugeot).
Il progetto è un enorme ufo che incombe dall’alto sulla vallata con una enorme torre alberghiera disposta lungo il torrente Bisagno a mò di diga, a ripetere come se nulla fosse successo, l’infelice operazione dell’edificio per il Bricoman, davanti al borgo storico di Ponte Carrega e la Chiesa di S. Michele: quest’ultima viene coperta alla vista dalla sponda destra del Bisagno. E’ un po’ come se i palazzi verde e rosa di lungo Bisagno Dalmazia (quelli del bar Diana) venissero ripetuti in un continuum tra la concessionaria ex cinema Esperia e la baracchetta del fruttivendolo di Pontecarrega: valutate voi l’impatto che potrà avere!
Il progetto presentato ha una sola logica di lettura: è un autentico monumento al commercio che si impone sopra ad ogni altra cosa come il paesaggio e la identità dei luoghi. Ricordiamo, a chi non lo sapesse ancora, che i dirigenti che tirano le fila di questo progetto sono gli stessi che hanno promosso e attuato il vicino edificio per il Bricoman. Forse è anche per questo che nel procedimento della nuova Coop si riscontra la stessa sensibilità ai temi del paesaggio e della partecipazione (vi ricordate che tipo di partecipazione è stata svolta per l’edificio per il Bricoman!?)
Il procedimento per il cambiamento della destinazione d’uso delle aree acquisite da Talea, deve passare da una variante al piano urbanistico. Questo passaggio comporta necessariamente un’approvazione da parte della maggioranza del Consiglio Comunale: quindi non è una decisione della Giunta ma un passaggio che prevede un consenso della maggioranza dei consiglieri comunali.
Da parte nostra abbiamo chiesto ai vari gruppi consiliari di condizionare il loro “si” all’attuazione di un percorso di partecipazione in grado di migliorare effettivamente il progetto con la tecnica della “moltiplicazione dell’opzione”. Ovviamente l’approvazione del consiglio dovrà avvenire dopo il percorso partecipato tenendo conto dell’esito del percorso stesso. Il tempo per fare questo percorso è stato stimato in tre mesi. Con la buona volontà si sarebbe già potuto svolgere ben due volte da quando lo avevamo richiesto. Il nostro non è un tentativo di sovrapporci al Consiglio, semmai il nostro intento è quello di contribuire alle scelte decisionali che spettano al consiglio in modo da rendere l’impatto della nuova costruzione meno impattante: il quartiere infatti è già stato messo a dura prova con il vicino “Mostro” edificio per Bricoman: due mostri sono veramente troppo! sia per il quartiere, sia per questa valle e per questa città.
Per quanto riguarda la presunta clausola contrattuale per la quale se il compratore delle aree non potrà realizzare quello che vuole e potrà pretendere la restituzione della somma versata, secondo noi è poco credibile, almeno nei termini presentati dai giornali. Tale clausola se c’è deve essere stata necessariamente indicata nel regolamento di vendita dell’asta pubblica, non può essere un accordo “segreto” e non può essere ne precedente alla vendita, ne successivo, ma compreso nel regolamento dell’asta pubblica. Quindi per averne una idea basterà guardare cosa scriveva il bando. (Verificheremo)
Comunque ci sembra poco credibile la presenza di una clausola vincolante che assicuri destinazioni urbanistiche future e non previste prima della vendita. Questa possibilità sarebbe un vero ricatto, una carta bianca concessa a un soggetto privato, veramente poco credibile e difficilmente accettabile da un’amministrazione: il Consiglio Comunale sarebbe esautorato e avvilito nel suo potere decisionale.
Stando a questi fatti secondo noi ci sono ancora tutti i termini per migliorare il progetto nel rispetto del tessuto storico esistente: basterà che il Consiglio Comunale richieda, come condizione preliminare alla delibera favorevole, lo svolgimento di un reale percorso di partecipazione con il territorio e i soggetti portatori di interesse. Diversamente il consiglio potrà negare la nuova destinazione e il proponete non potrà fare altro che procedere senza la realizzazione dell’albergo: ma gli conviene?
“Coerentemente con la propria missione sociale, Coop Liguria non si limita a vendere scatolette: tutela l’ambiente; promuove la cultura, la socialità e l’aggregazione; diffonde stili di vita più sani, attraverso un articolato programma di attività di educazione al consumo consapevole; attua campagne di solidarietà.” dal sito Coop Liguria.
. ma allora perché non fare un vero percorso partecipato per il miglioramento del progetto? Quello che fino ad oggi è stato svolto, in assenza di una legislazione in materia, sono solo assemblee pubbliche di presentazione di ciò che il proponente aveva deciso di fare a suo insindacabile giudizio: i miglioramenti li ha decisi solo lui, nel modo in cui piacciono a lui, come conviene solo a lui. Un modo di procedere opposto al principio di partecipazione dove il territorio è sempre sconfitto. Questo film lo abbiamo già visto per l’edificio Bricoman, è la stessa regia!.
Dallo statuto sociale Coop Liguria
TITOLO I
COSTITUZIONE, SEDE, DURATA, SCOPO E OGGETTO
ARTICOLO 1
Denominazione
….
La Cooperativa persegue la funzione sociale,
lo scopo e i principi mutualistici senza fini di
speculazione privata previsti dall’art. 45 della Costituzione.
….
ARTICOLO 4
Scopo e oggetto sociale
…..
– promuovere ed organizzare attività e
servizi culturali, ricreativi e socialmente utili;
– contribuire a tutelare l’ambiente;
…..
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