Al giorno d’oggi è difficile credere che per secoli le acque del Bisagno e dei suoi affluenti, siano riuscite a dissetare tutta Genova. Il continuo disboscamento e la messa a cultura del terreno hanno reso scarse le sue acque e diminuito il numero delle sorgenti che in passato gli valsero l’appellativo di “fiume”
Gli antichi documenti mostrano che già nel 200 AC in prossimità della fontana Coperclata, si sviluppava lungo la sponda destra del Bisagno un antico acquedotto romano che aveva origine nella pescaia del follo (attuale Giro del Fullo). Dopo l’anno mille, questo acquedotto fu abbandonato e iniziò la costruzione di quello medievale che sfruttava le sorgenti della valle del Veilino (toponimo che deriva dal termine dialettale Beo che significa derivazione d’acqua o ruscello). Nei secoli successivi l’acquedotto medioevale fu prolungato fino alla valle di Trensasco e in seguito fino a Schienadasino, riuscendo così a convogliare nel suo canale le abbondanti acque del Bisagno.
Nei primi anni dell’800, per catturare più acqua, e quindi aumentare la sua portata vennero incanalate nell’acquedotto anche le acque del rio Torbido , e in seguito quelle della valle del Concasca, dove scorre l’omonimo torrente chiamato anche Lavena. Con questi ultimi prolungamenti, l’acquedotto raggiunse la sua massima distanza dalla città.
Tra la valle del Veilino e quella di Trensasco vi sono la valle di Preli, dove scorre Il rio Figallo, e quella della Cicala che prende il nome dalla famiglia genovese dei Cicala, proprietaria della zona fin dai tempi antichi. La sensazione che si prova entrando nella valle della Cicala e passando a fianco delle rare case a ridosso del canale dell’acquedotto è quella di tornare indietro nel tempo: ogni angolo qui pare animarsi in un caleidoscopio di colori, ricordi, suoni, odori e fatica. Poco dopo il tramonto, le fronde degli alberi, che lambiscono il canale, si oscurano rapidamente in contrasto con l’orizzonte che riflette ancora la luminosità azzurra del cielo. In questa luce quieta, lo sguardo spazia sull’abitato della valle che sale tra piccoli orti coltivati e mulattiere che s’inerpicano verso il monte perdendosi poco oltre nel bosco. Il lungo nastro grigio dell’acquedotto si addentra nella valle ancora incontaminata, che mantiene le peculiarità tipiche della campagna, costituita da numerosi terrazzamenti e coltivi. La vegetazione è bassa e il tracciato è affiancato da vistosi resti di canali dismessi, a testimonianza dei continui rifacimenti e ampliamenti cui è stato sottoposto tutto il condotto. Per passare al versante opposto si attraversa il piccolo ponte-canale sul fossato della Cicala che sorprende per la sua aspra bellezza e per il silenzio intenso che la avvolge, pur essendo a così breve distanza dalla città. Appena passato il ponte, sulla destra c’è la derivazione che si inoltra per una cinquantina di metri fino alla presa, rasentando il fianco del fossato che scende a valle formando innumerevoli cascatelle di acqua limpida. Sul versante opposto della valle il paesaggio intorno fa da sfondo all’avvicinarsi della città; la bassa vegetazione e i pochi alberi evidenziano il tracciato dell’acquedotto permettendoci di attraversare questo lembo di paesaggio, tra i più belli e meno contaminati, sino ai tre ponti canali che si susseguono, ottimamente conservati. Il primo ponte ad unica arcata è sul rio Costa Pelosa, segue a poca distanza quello sul rio Pezzola a tre arcate e completo di scolmatori. Sul rio Borneli, il terzo ponte ad una arcata precede di poco un altro tratto franoso che ricopre il canale per un centinaio di metri. Il tracciato prosegue poi fino a incrociare l’abitato di Preli e continuare verso la città.
Luciano Rosselli
fotografo e autore di libri e siti web sulla Val Bisagno
Articolo comparso sul numero 3 del marzo 2015 del giornale “Noi in 20 Pagine, il mensile della Polisportiva Alta Val Bisagno”, nella sezione “C’era una volta…”a cura della Associazione Amici di Ponte Carrega.
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