La Val Bisagno non è esclusivamente un’area di servizio della città e conserva ancora caratteri pregevoli nonostante la continua cementificazione e la costruzione dei centri commerciali a Ponte Carrega contribuiscano mattone dopo mattone a fendere colpi sempre più duri alla sua identità. La frase che ci sentiamo ripetere più spesso invece è “Ma intanto quella zona è già brutta”: ci stiamo abituando al “brutto”.
Eppure sono tantissime le testimonianze di bellezza della nostra valle e le sue potenzialità ancora oggi inespresse. Sono tantissimi i Beni Comuni dimenticati e nascosti che vanno riscoperti e riconsegnati alla città e alla comunità.
Una di queste testimonianze di bellezza e di Bene Comune è il truogolo di Salita alla Chiesa di Staglieno, di cui si erano ormai perse le tracce nella memoria storica e nei ricordi dei più giovani. Il truogolo infatti, situato alle spalle del Cimitero di Staglieno in cima alla creuza che conduce alla Chiesa di San Bartolomeo di Staglieno e poi sul condotto dell’acquedotto storico, era celato da qualche decennio dietro un gran numero di rottami e di vegetazione invasiva che ne ostruivano quasi completamente la visione anche agli sguardi più attenti. Grazie al libro di un amatore della vallata “I truogoli della Val Bisagno”, di Luciano Rosselli, abbiamo incominciato la romantica impresa di riportare alla luce l’antico truogolo di Salita alla Chiesa di Staglieno.
A dicembre 2013, cominciano i lavori di pulizia e di volontariato in accordo col Municipio IV Media Val Bisagno. Nel frattempo, consapevoli del tesoro riscoperto, ricerchiamo aiuto e competenze per poter arrivare ad avere una conoscenza completa del luogo e del manufatto: chiediamo quindi alle memorie storiche del luogo a Jolanda Valenti, grande amatrice dell’acquedotto storico, di aiutarci a scoprire qualcosa di più sulla storia del truogolo. Lo studio di Architettura Castaldi Poggi si offre di aiutarci gratuitamente, spinto dallo spirito di volontariato e affascinato dalla bellezza del posto. Il loro aiuto sarà importante per presentare il progetto di restauro alla Soprintendenza, con la quale collaboriamo e ci relazioniamo continuamente. Insieme al Municipio concertiamo le fasi dei lavori e infine sigliamo una intesa di affidamento del truogolo che, a fine lavori, sarà aperto a cadenza mensile e restituito alla cittadinanza e alla collettività. Già dalle prime settimane si incomincia a scorgere che sotto i piedi non c’è solo terreno: viene fuori, con grande emozione di tutti, l’originario acciottolato ottocentesco in pietre del Bisagno. Incomincerà e si prolungherà per mesi un lungo e faticoso lavoro di pulizia dell’acciottolato e di ripristino delle varie lacune che nei decenni si erano create. Ora il risseu è riemerso in tutta la sua bellezza. L’obiettivo adesso è quello di riportare l’acqua al truogolo e di ridotarlo della copertura in lamiera zincata oggi mancante. Non avrà più una funzione di lavatoio come lo aveva un tempo, ma tornerà ad essere un luogo di aggregazione proprio come era al tempo delle “bugaixe” di inizio novecento.
Ora è finita la prima parte di restauri, culminata con una festa e uno spettacolo del duo Cambri – Pirovano durante l’ultimo Festival dell’Antico Acquedotto. Una volta arrivati i permessi della Soprintendenza, vorremmo poi poter completare il restauro, confidando anche nell’aiuto di qualche sponsor per le opere più complicate e onerose, come la nuova copertura. Ultimato questo secondo lotto il truogolo sarà aperto al pubblico su appuntamento e ogni primo sabato del mese insieme al Ponte Sifone adottato dalla Associazione Aegua Fresca, in modo da poter incominciare a creare una rete di monumenti visitabili in un percorso lungo l’acquedotto.
Concludiamo con quanto riemerso dagli archivi storici del Comune di Genova grazie alla ricerca di Jolanda Valenti.
Il lavatoio, muto testimone della conquista sociale dell’acqua, racconta la trasformazione che ha subito il territorio nel corso delle varie fasi di costruzione del
Cimitero, il cui inizio avvenne quando Staglieno era ancora comune autonomo. La costruzione del lavatoio, appaltato insieme ad altri cinque nelle frazioni suburbane ed una nel centro alla Impresa Tommaso Roncallo il 25 aprile 1877, può iniziare subito perché l’area individuata è già di proprietà del comune, che l’aveva espropriata per l’allargamento del cimitero: si tratta di una piccola parte della grande villa Rusca. La superficie sul quale sorge il lavatoio corrisponde al viale d’accesso alla casa padronale posto nel penultimo gomito della salita, allora non recintato. Il viale era sormontato dal tipico pergolato retto da colonnine di pietra, in parte poste sul muro di contenimento a valle e terminava contro un muro che racchiudeva il giardino e la casa padronale, ai quali si accedeva da una porticina; sul lato a monte c’erano le cisterne riempite dal bronzino numero 12 dell’acquedotto, lo stesso che alimenterà il lavatoio. L’area in questione è stata stravolta negli anni settanta con la costruzione della strada carrabile di via delle Gavette.
Il lavatoio ha una struttura a due vasche e conserva inalterate tutte le caratteristiche costruttive originarie previste nell’appalto: dalla struttura in pietra di cava al pavimento del fondo della vasca in lastre di Luserna disposte a corsi regolari in senso longitudinali, colla dovuta pendenza e di un sol pezzo; dal canaletto intorno al lavatoio medesimo, alla copertura delle banchine o marciapiede con lastre di Luserna. Il coronamento delle sponde e divisioni interne è eseguito con coperture di granito e in pietra di Luserna.
Di particolare interesse la struttura dalla quale si erogava un tempo l’acqua, composta da un truogolo di marmo con calotta semisferica a base ottagona, conforme a quelle esistenti ad altri lavatoi. Purtroppo quando con la chiusura dell’acquedotto storico si rese necessario modificare l’alimentazione del lavatoio: la calotta fu aperta e sostituita la guarnizione di rame e relativa chiavetta con cemento. Il lavatoio è rifinito da intonacatura, quella interna resa impermeabile dal cemento inglese Portland.
La copertura invece viene appaltata con delibera di Giunta del primo settembre 1893. La struttura è in ferro con colonne in ghisa del modello usuale, fissate in una base di pietra e con copertura in lamiera di ferro ondulata e zincata, condotta in zinco verticale e orizzontale per lo scarico delle acque pluviali e il tutto colorato.
Ora non vi resta che venire a riscoprire questo Bene Comune ritrovato che mantiene intatto il suo fascino.
Fabrizio Spiniello
Jolanda Valenti Clari
L’articolo è la riduzione del testo comparso sul bollettino di A Compagna. Il testo qui sopra è comparso sul mensile “Noi in 20 Pagine, il mensile della Polisportiva Alta Val Bisagno”, nella sezione “C’era una volta…”a cura della Associazione Amici di Ponte Carrega. Con questo numero incomincia la collaborazione tra gli Amici di Ponte Carrega e il mensile della Polisportiva Alta Val Bisagno.
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