Canate è un paese ormai semi-abbandonato nelle alture della Valbisagno, nel comune di Davagna. Nel periodo della grande espansione genovese, con la creazione di grandi carrozzabili, Canate è rimasta isolata in mezzo ad una natura plasmata dall’uomo. Il suo abbandono, dovuto per l’appunto alla mancanza di una carrozzabile adeguata per raggiungere agevolmente il paese, lo si può datare all’incirca negli anni Sessanta del ‘900, anni in cui si poteva ancora contare una popolazione di novanta persone. La sua origine, molto antica, possiamo datarla all’incirca al XII secolo, ma una domanda sorge spontanea, perché costruire un paese così lontano dagli altri centri abitati e così difficile da raggiungere? La risposta possiamo forse trovarla in antichi racconti locali, in cui si narra che sia nato dalle mani di prigionieri e usato come luogo di esilio per donne accusate di stregoneria, ma che non si potevano condannare per mancanza di prove. Ma questo è avvenuto durante il periodo dell’inquisizione, quindi successiva alla sua fondazione, probabilmente potrebbe esserci stato un primo abbandono è utilizzato appunto come prigione. Da allora, la popolazione aumentò e, questo luogo di confino, divenne un vero e proprio paese. La naturale morfologia del terreno scosceso ha permesso al borgo di costruire muretti a secco per ottenere il classico andamento terrazzato che tanto caratterizza tutto l’entroterra ligure. Per costruire le abitazioni sono stati usati materiali di recupero che si potevano trovare facilmente nel territorio, quindi venivano lavorate le rocce, i legnami e il ferro. Venivano costruite con un pian terreno adibito a stalla e un primo piano accessibile tramite scaletta esterna. La grande ricchezza idrica di questa vallata ha permesso la costruzione di moltissimi trogoli e di rudimentali mulini che venivano sfruttati per macinare le castagne, che qui erano la maggior fonte di sostentamento. Inoltre, grazie al terreno a fasce e alla perfetta esposizione solare, venivano coltivate le vigne, testimonianza ne abbiamo con la presenza in loco di antiche attrezzature e botti di varie dimensioni. Non fu mai costruita una chiesa e non c’era una vera e propria scuola, ma l’ignoranza non era di casa qui, infatti, una giovane ragazza ogni giorno, dal caldo estivo, alla neve e al gelo invernale, andava ad insegnare ai bambini del piccolo borgo. Durante la Seconda Guerra Mondiale il paese ospitò un gruppo di partigiani, i quali vennero scoperti dal reggimento tedesco che attuò un violento rastrellamento. A distanza di circa vent’anni da quell’evento, il paese subì il quasi totale abbandono. La costruzione della carrozzabile che porta a Marsiglia ha convinto gli abitanti a migrare verso altri paesi meglio attrezzati, ad eccezione di una coppia di anziani che, indomiti, continuano la loro vita solitaria in questa romantica desolazione. Nell’ultimo decennio però, altre persone hanno raggiunto il paese e intrapreso uno stile di vita in cui l’orologio sembra essersi fermato in quegli anni dove l’energia elettrica e la tecnologia erano ancora argomenti sconosciuti. Ad accogliere i turisti curiosi ci pensa il bestiame di un abitante di Canate: capre, galline, cavalli, asino e gatti qui sono liberi e girano per tutte le vie rendendole meno solitarie. Ma le antiche mulattiere e sentieri che portano ad esso sono ostili e impervie. Per raggiungere questo suggestivo paese si può percorrere l’antica mulattiera che collega Canate a Marsiglia, che scende verso un rio e poi, dopo aver percorso un ponticello in legno, risale ripido verso Canate. In alternativa c’è il sentiero dei mille scalini, che si può iniziare da Cavassolo. E ancora, il percorso di costa che collega San Martino di Struppa a Canate, sotto le pendici del Monte Alpesisa. Percorrendo sentieri liberi nel bosco, possiamo trovare tracce di lupi che qui si stanno riproducendo e di rado attaccano il bestiame del paese. Indubbiamente, percorrere queste antiche mulattiere, trasmette ad ognuno di noi emozioni differenti, che va dall’ammirazione verso un panorama naturalistico in contrasto con vecchi ruderi, alla malinconia nel vedere abitazioni vuote e oggetti abbandonati. Vie che un tempo erano popolate e vissute, ora riposano sotto il peso di un silenzio nostalgico. Ma l’aria che si respira e l’atmosfera che ci accoglie a Canate, è di quelle positive, come se non ci fosse mai stato un addio alla vita in questo lato della vallata, ma soltanto un arrivederci.
Paolo Congiu, fotografo e appassionato di storia della Val Bisagno
L’articolo è tratto dal numero di Settembre di “Noi in 20 Pagine”, periodico della Polisportiva Alta Val Bisagno e dalla rubrica “C’era una volta” curata dalla Associazione Amici di Ponte Carrega.
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