Introduzione
Si tratta di un ponte strallato, i cui primi esempi, realizzati verso metà ‘800 vennero abbandonati a causa di crolli immediati e successivamente vennero ripresi, dopo quasi 100 anni, a fine anni ’50.
Progettato dell’ingegner romano Riccardo Morandi, fa parte della stessa serie di altri due ponti realizzati dallo stesso progettista, il ponte sulla baia di Maracaibo a fine anni ’50 e crollato nel ’64 a causa di una petroliera che urtò l’impalcato e uno in Libia.
Si tratta infatti di due ponti i quali hanno avuto simili problematiche a quelle del ponte in oggetto, probabilmente a causa delle caratteristiche costruttive, così come la realizzazione di un viadotto, progettato dallo stesso Morandi negli anni ’70 nei pressi di Agrigento, attualmente chiuso per problemi di corrosione e di possibili cedimenti strutturali.
Ecco le caratteristiche principali del Morandi.
Lunghezza: 1182 m
Campata maggiore: 210 m
Altezza pile: 90 m
Si tratta di una struttura realizzata in cemento armato precompresso per quanto riguarda l’impalcato mentre gli stralli, cioè gli elementi inclinati che hanno il compito di sorreggere l’impalcato, sono in acciaio, con i cavi di tensione non pretesi, con trefoli posti su più file rivestiti in calcestruzzo.
A livello di impatto sul contesto urbano, l’impatto è sicuramente notevole su alcune abitazioni di via Fillak, in particolare su alcuni poggioli e con un pilastro che poggia sul tetto di una casa. Questo testimonia che, solo per questi fattori, la struttura così come era stata concepita, con pilastri tozzi, in alcuni casi spessi anche più di 1,50 m, vedasi quelli che si affacciano su Via Fillak,, non supererebbe nè la VIA (Valutazione Impatto Ambientale), nè la VAS( Valutazione Ambientale Strategica).
Le pile sono realizzate, secondo una singolare tecnica, il cavalletto rovesciato bilanciato. Si tratta di una struttura che fin dai primi anni ‘90 diede molti problemi di stabilità, con numerosi interventi di consolidamento, sia per la parte relativa alla soletta, sia per quanto riguarda soprattutto i tiranti. a
Vennero infatti inseriti, a causa dell’elevata corrosione anche e soprattutto in virtù della vicinanza con il mare, dei nuovi stralli di acciaio esterni affiancandosi ai cavi originali immersi nel calcestruzzo,
La causa principale di questo difetto, secondo alcune ricerche è dovuta essenzialmente allo sbaglio del calcolo della deformazione viscosa, cioè gli effetti della corrosione della struttura nel corso del tempo, anticipata di almeno 25 anni rispetto alla situazione ordinaria di un ponte, che dovrebbe durare in condizione ordinaria almeno 50 anni. Alcuni ponti storici in muratura, realizzati comunque con materiale avente caratteristiche totalmente diverse, durano anche 150, 200 anni senza nessun bisogno di interventi di manutenzione.
Il grosso difetto strutturale è dovuto essenzialmente alla realizzazione dei tiranti ricoperti con il cemento armato. A grandi linee, senza entrare troppo nel tecnico, la logica, teoria del cemento armato, risalente a fine ‘800 prevede sostanzialmente l’assunzione delle forze di compressione da parte del calcestruzzo, mentre per gli sforzi di trazione verrebbero assunti dalle barre di armatura, disponibili di vario diametro.
La differenza del cemento armato precompresso, applicato per ponti di grandi luci rispetto al cemento armato normale è data dalla precompressione delle barre di armatura, immerse nel calcestruzzo Tuttavia, nel caso del cemento armato precompresso, usato per ponti di grandi luci dove il materiale è più sollecitato, la situazione è più complessa.
Possiamo infatti vedere, come ci mostra la figura, un tipico esempio di ponte strallato moderno, esattamente come accade oggi per i ponti ferroviari e autostradali, dove gli stralli, che siano funi o, come accade quasi sempre cavi di acciaio, sono non più a passo molto ampio, o addirittura singoli, come nel Morandi, ma disposti a ventaglio e più concentrati, con il passo che può variare a seconda della scelta progettuale.
Figura 1 Tipologie di ponti con gli stralli
Questa disposizione a ventaglio consente di avere un carico ripartito sulla soletta in maniera uniforme, con una maggiore tensione di trazione assunta dai cavi e meno peso a gravare sull’impalcato. Risulta infatti sempre preferibile avere un numero maggiore di stralli, quindi con una riduzione del passo degli elementi inclinati l’acciaio, piuttosto di avere cavi grossi, tozzi i quali non garantiscono una ripartizione uniforme dei carichi puntuali sulla soletta, costringendo l’impalcato ad un surplus di carico, e specialmente in condizioni atmosferiche particolare come quelle genovesi, soggetto a vento, azione salina.
A fine anni ‘90, quindi il ponte aveva quindi dei costi di manutenzione che erano quasi l’80% del costo di costruzione, il che significa che era arrivato praticamente al termine della sua vita utile con molti anni d’anticipo.
Il ponte, nonostante tutto, era considerato sicuro altrimenti sarebbe stato interdetto, non era prevedibile così nell’immediato. Si è parlato di un fulmine, di fatto una scarica elettrica potentissima, che lo avrebbe colpito poco prima del crollo, verso le ore 11 30 circa ma certamente non è la causa scatenante, potrebbe essere solo molto lontanamente una piccola scintilla tra le tante.
Oggi si parla di una vita utile in condizioni ordinarie di un ponte moderno di 50 anni ma anche oltre in alcuni casi, in ogni caso si è arrivati ai limiti di una possibile sostituzione. Le nuove norme tecniche sulle costruzioni, le NTC 2018 che hanno recentemente sostituito le NTC 2008 prevedono infatti interventi secondi i massimi canoni di sicurezza, monitoraggio analogamente agli Eurocodici, i quali dovrebbero integrarsi con le nostre norme entro il 2023.
Lo schema statico
Lo schema statico adottato, la trave Gerber, isostatico, è corretto per questo tipo di ponti così lunghi, anche se oggi giorno non vengono quasi mai usate tale soluzioni, si preferisce correttamente l’iperstaticità per tenere conto di alcuni gradi di libertà in più.
Si tratta nel ponte in esame, di sconnessioni, poste proprio alle estremità, con un momento flettente, in questi punti praticamente nullo M=0, a seconda dei casi, quindi una trave praticamente appoggiata. Non è un caso se infatti il ponte è collassato quasi in mezzeria, imploso su se stesso. Viceversa, fosse stata incastrata, cosa tecnicamente errata per un ponte così lungo, l’andamento della deformata sarebbe stata sicurameente diversa, con molte più ripercussioni sui monconi rimasti, più pericolosi dal punto di vista della stabilità rispetto alla situazione attuale, i quali non sarebbero rimasti quasi orizzontali ma inclinati di una certo angolo verso il basso, come per una trave a sbalzo.
Figura 2 Sezione del ponte crollata
Sul traffico, certamente i carichi sono aumentati di molto nel corso di questi 50 anni, vedi i camion da 40 t ma è riconducibile soltanto a una concausa, che si somma alle altre ma non la vera ragione, che è da imputare al cedimento dello strallo, oltre ai ferri di precompressione come sottolineava il prof Brencich, ormai usurati. Nota importante è infatti osservare lo stato dei ferri della parte rimanente, la loro conservazione, come si sono piegati e così via.
Non a caso a caso nei ponti moderni, ma anche in quelli passati, realizzati in struttura mista, quindi cemento armato, acciaio o solo in acciaio, i tiranti, funi o cavi di acciaio, molto sottili, sono concepiti, vedi ponte ferroviario ad arco sul Polcevera, in modo tale da essere alternativi l’uno all’altro. Quindi se per caso se ne rompe uno, a causa essenzialmente di fattori esterni, vedi vento, ghiaccio, sisma, quasi mai per cause interne anche se possono esserci, intervengono gli altri, in modo tale da avere una area di influenza molto maggiore e con carichi puntuali distribuiti sull’impalcato, non concentrati e modificati, appesantiti nel tempo in seguito alla costante manutenzione, come invece per il Morandi da quasi 30 anni
Figura 3 Schema della trave Gerber e il collasso della campata (Fonte: Ing. Arch G. De Nicolò)
Vi è infatti una vera simulazione di collasso per le moderne concezioni strutturali, esattamente come avviene per le strutture di civile abitazione, secondo cui per un cinematismo dovuto per esempio al sisma, un collasso di tipo duttile, non immediato, non fragile con alta capacità di deformazione, le cerniere plastiche, cioè i cinematismi di collasso si formano prima nelle travi, poi nei pilastri. Stessa cosa può quindi essere applicata nei ponti, dove l’elemento che si deve rompere per primo, in teoria l’elemento inclinato, fune o cavo di acciaio, deve essere sostituito a livello di funzione strutturale da un altro elemento uguale vicino. Questo concetto si chiama Gerarchia delle Resistenze.
In questo caso si è invece trattato di un meccanismo non duttile, cioè con alta capacità deformativa fino al raggiungimento del limite elastico, ma fragile, immediato, improvviso, segno che la struttura aveva già superato le riserve di resistenza, e quindi era entrata pienamente da anni nella fase plastica, con deformazioni permanenti oltre il limite elastico dei materiali.
La ricostruzione
Una possibile soluzione potrebbe essere la sostituzione con un ponte in acciaio non troppo complesso,, di facile trasporto che si appoggi sulla parte rimanente, verificando ovviamente tutte le condizioni di stabilità del due moncherini est e ovest grazie ad alcune prove consolidate, vedi sclerometro come infatti è stato eseguito.
La situazione attuale tuttavia deve fare i conti con uno stravolgimento delle condizioni iniziali, al contorno del ponte, che sono passate da una fase elastica dei materiale ad una fase plastica, che quindi tiene pienamente conto della memoria e delle passati dissesti strutturali, per cui, a meno di clamorosi situazioni, l’unica soluzione è il totale rifacimento della struttura, ovviamente con canoni moderni, altamente leggera, con un comportamento duttile.
Si tratta di un impalcato che sarà realizzato con travi in acciaio prefabbricate e montate in opera, con l’ausilio di gru specializzate mentre gli elementi verticali dovrebbero essere realizzati sempre in acciaio e collegati con le fondazioni profonde a pozzo in cemento armato ordinario.
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6 Ottobre 2018 alle 15:45
secondo la mia ignoranza, per i ponti sarebbero da preferire le strutture metalliche, tutte a vista, con giunzioni bullonate, limitando le saldature. Il cemento armato lo userei solo per carichi statici. rispettando la normativa attuale e considerando carichi accidentali fuori della normalità, periodici. in Italia ci sono aziende specializzate e preparate che possono, volendo, sostituire il ponte Morandi, anche in 8 mesi.