Ieri una nostra delegazione si è recata al campus universitario dell’università di Genova a Savona per seguire i lavori del seminario organizzato dal Cima (International Centre on Environmental Monitoring). L’occasione era la presentazione del libro “Perché. Le ragioni dell’Italia dei disastri e qualche idea per cambiare le cose”
scritto dal professor Giovanni Menduni (coordinatore dell’area innovazione del Comune di Firenze, già direttore generale presso il Dipartimento della Protezione civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri e Segretario generale dell’Autorità di bacino del Fiume Arno. Professore associato in aspettativa nel Politecnico di Milano).
Il professor Menduni cerca di dare una spiegazione alle centinaia di morti che ogni anno si verificano in Italia, per via diretta o indiretta, a causa delle alluvioni e cerca di riassumere le cause in tre punti:
1) i cambiamenti climatici che inaspriscono i problemi del territorio.
2) la scarsezza della disponibilità economica e della volontà politica di fare investimenti.
3) la mala gestione del territorio, in particolare la cementificazione.
Un quarto problema, forse ancora più importante, è rappresentato dal disinteresse della politica nei confronti di questa tematica, dato che queste tematiche erodono il consenso. E’ un tema rischioso, che non intriga la politica e di cui perciò a politica si disinteressa. Lo stesso Ministero dell’Ambiente è un ministero che conta poco nello scacchiere politico italiano.
Il dissesto incomincia ad essere affrontato solo negli anni ’50 con la disastrosa alluvione del Polesine. Si palesa un “modello italiano” della difesa del suolo con la nascita del concetto di “bacino” e il concetto che la gestione del suolo vada affrontata insieme alla pianificazione urbanistica incomincia a diventare familiare a tutti: si pensa anche alla creazione di un organismo misto Stato-Regioni che si occupi di gestione del suolo. In pratica dal 1951 al 1989 si pongono le basi per una gestione del suolo diversa dalle precedenti che però si va scontrare nei decenni seguenti (1989-2012) con un’incessante mancanza di fondi per applicare le idee pensate in fase di programmazione e con un crescente disinteresse da parte delle Istituzioni. Il grande ostacolo in una materia così tecnica e particolare è paradossalmente imputabile proprio alla politica: la
politica delega la risoluzione di certi problemi alla tecnica perché non sarebbe in grado di risolverli da sola, ma poi prende la decisione da politico e non da tecnico. Ciò significa che spesso deve fare i conti con il consenso e con le direttive di partito che magari tendono alla soluzione opposta rispetto a quella prospettata dai tecnici e ciò spesso non è la soluzione migliore per la tutela del territorio.
Per questo motivo sarebbe decisivo e fondamentale la partecipazione della popolazione al governo del territorio: la sicurezza di un territorio è NON-DELEGABILE e deve prevedere la partecipazione inevitabile della cittadinanza. I soggetti di questo processo non devono più essere i soli politici e i tecnici, ma anche la
popolazione. Questa ultima ha il grande compito di combattere il disinteresse della politica in queste tematiche e di vigilare affinché la politica si occupi della sicurezza del territorio. Per fare un esempio, le spese per la sicurezza ambientale negli ultimi 20anni sono state nell’ordine del 2% del pil: troppo poco per contrastare il dissesto idrogeologico provocato dall’uomo in tutto il ‘900 e che continua ancora oggi.
Il problema del dissesto e della tutela è molto complesso: è un problema anche culturale. La domanda che dobbiamo porci oggi non è tanto se un fiume possa uscire o meno, dato che a questa domanda la risposta sarà sempre positiva, ma un’altra: i danni causati dalla inondazione (che va data sempre come certa) possono essere sopportati dalla comunità?
Vanno perciò considerati due fattori: la MINACCIA (cioè il fiume che può esondare e che prima o poi esonderà, senza dubbio) e l’ESPOSTO (cioè la conseguenza della minaccia, l’esondazione e i danni da essa
provocati). Purtroppo in questo paese, a differenza di altri ben più avanti di noi, si considera solo la minaccia e mai l’esposto. Cioè ci si preoccupa di fermare un fenomeno naturale come l’esondazione di un
fiume, che prima o poi, a cadenza pressoché costante, esonderà inevitabilmente e senza possibilità di porvi rimedio e non ci si preoccupa invece minimamente di ciò a cui invece si può rimediare. Con questo criterio nessuno pensa ad esempio a come sarebbe utile, in termini economici, mettere in sicurezza gli impianti elettrici delle abitazioni di zone inondabili semplicemente ponendo le prese della corrente in alto invece che in basso. Perciò per concludere questo ragionamento sarebbe molto più facile ed utile cercare soluzioni per l’ESPOSTO piuttosto che per la MINACCIA.
Il discorso da fare, da ora in poi, sarà legato a questi pochi concetti e a questa semplice considerazione: se la minaccia non può essere evitata bisogna concentrarsi sul resto, sull’ESPOSTO. Bisogna perciò ragionare in termini di PREVENZIONE e ADATTAMENTO DEL RISCHIO e per fare ciò, come dicevamo qualche riga sopra, è necessario il coinvolgimento della popolazione (il Cima che ha organizzato l’evento si occupa del resto proprio di questo) http://www.cimafoundation.org/index.php?lang=it .
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