Sul nostro canale Youtube sono disponibili le riprese della presentazione del libro del Professor Rosso, “Bisagno Il fiume nascosto”. Il video è stato girato anche all’editore Marsilio di Venezia, editore del libro.
Presentazione del libro di Renzo Rosso
Il libro offre interessanti spunti di riflessione sulla storia della città attraverso gli occhi del Bisagno. Racconta di disastri e alluvioni ma anche della ricchezza, della bellezza e della storia di questo fiume contraddittorio, che si ama e che si odia, che sembra tranquillo tanto da “non potergli negare un bicchier d’acqua (Dumas)” ma che diventa, spesso, “nera di malasorte che ammazza e passa oltre”(De Andrè). Il libro racconta numerosi aspetti di questa vallata da sempre, e purtroppo ancora oggi, considerata esclusivamente “area di servizio” di Genova: racconta la speculazione edilizia di cui è stata oggetto la vallata fin dagli inizi del ‘900 citando le parole di Edith Wharton che già nel 1904 passando per San Fruttuoso la definisce “dismal” (tetra, lugubre) osservando i palazzi in costruzione di quella che un tempo era una delle campagne più belle del genovesato con il suo complesso di ville cinque-secentesche. Rosso affronta temi attuali riportando le esperienze passate e gli errori già fatti sul nostro territorio: parlando della copertura del Bisagno alla Foce dice:”la copertura asserviva a due scopi: il primo era senza dubbio la viabilità, che a Genova è un moloch cui concedere ogni sacrificio”. Cita poi i verbali della Commissione governativa Supino, stilata nel 1971 dopo la tragica alluvione che affermava: “possibile ricoprire ulteriormente il Bisagno fino a Staglieno con la possibilità di ricavare aree di grande valore commerciale. I commissari avevano ben compreso l’attitudine dei genovesi a considerare la questione del Bisagno sempre subordinata ad altre, più concrete iniziative: la realizzazione di un contesto maestoso, il miglioramento della circolazione, l’allocazione di servizi o il mero reperimento di nuove aree per nuove costruzioni”. Sembrano parole scritte oggi e invece sono state scritte nel 1971. Rosso riporta le dichiarazioni fatte nel 1977 dal Botta: “l’alluvione del ’70 non ha suggerito nulla alla classe di governo la quale ha persistito nella usuale indifferenza per i problemi connessi alla difesa del suolo e ancor più pervicacemente nella politica dei profitti. I corsi d’acqua che hanno sconvolto Genova continueranno ad essere un pericolo per quelle popolazioni fino a che non si provvederà a una costante politica di rimboschimento, non verranno varate leggi atte a garantire l’ordinaria manutenzione dei corsi d’acqua e si continuerà a snaturare il loro corso con interventi urbanistici speculativi“. Niente di nuovo! Con le parole di numerosi tecnici ed esperti suoi colleghi e predecessori Rosso porta il discorso su un piano politico e indica le responsabilità di questi anni di ritardo: “Mentre nessuno si farebbe resecare la prostata da un dentista maldestro ma politicamente allineato, non accade lo stesso per un’opera di difesa idraulica. La riuscita o il fallimento di queste opere si misura su un orizzonte di decine di anni, una prospettiva che supera perfino la nota, straordinaria lungimiranza dei protagonisti della vita politica italiana”. Insomma, per dirla alla Menduni (altro grande esperto e autore del volume “Perchè. La ragione dei disastri”) queste scelte non ripagano in termini di voti e non garantiscono al politico di turno una carta spendibile per tentare di rimanere aggrappato al carrozzone della politica e al valzer delle poltrone. Sempre citando il prof.Menduni, Rosso prosegue parlando di “messa in sicurezza”: “tutti la declamano e la reclamano, tutto deve essere in sicurezza , i fiumi devono restare negli argini anche se piove una quantità d’acqua da diluvio universale. Non facile, soprattutto se abbiamo ristretto l’alveo per realizzare una schiera di villette e un paio di viali di accesso. Oppure se abbiamo regolato il territorio in maniera da produrre, a parità di pioggia, una quantità di deflusso molto maggiore rispetto al passato”. E’ una denuncia forte. Se aprite i quotidiani, se girate per la città e, per chi abita a Ponte Carrega, vi affacciate alla finestra, vedrete quanto sia lucida e veritiera l’analisi e la denuncia fatta dall’autore e supportata da illustri colleghi in campo ingegneristico. L’autore fa una lucida analisi dei problemi di gestione del territorio ma traccia alcune soluzioni culturali: la prima è una “opinione pubblica agguerrita e documentata”. Il tema del dissesto deve diventare un problema culturale e deve essere affrontato quotidianamente perchè è diventato un problema quotidiano e non è più possibile nasconderlo sotto il tappeto. Allo stesso tempo però, dato l’alto contenuto tecnico di questi temi, è necessario che la cittadinanza sia preparata: in primo luogo per proporre soluzioni, in secondo luogo per non essere presa in giro (Rosso cita un proverbio toscano: “Al contadino non far sapere”: questo è stato l’atteggiamento della amministrazione fino ad oggi) quando si nasconde un problema di viabiltà con uno di dissesto idrogeologico. La seconda è il tema della Resilienza, strettamente collegato al tema culturale e della partecipazione tracciato poco sopra: “un disegno urbano consapevole può diminuire in modo significativo il danno alluvionale. Criteri di consumo del suolo e tecniche di costruzione idonee a garantire un accettabile livello di flood proofing diminuiscono gli impatti. La resilienza urbana è un fattore chiave nella gestione del rischio alluvionale”.
Affrontati questi due aspetti le soluzioni tecniche e ingegneristiche potranno essere individuate e scelte accuratamente in tutta la loro complessità: una opera ingegneristica da sola non è sufficiente perchè “non si può porre tutta l’attenzione sull’evento (alluvionale, ndr) e trascurare intanto il territorio”. L’ambiente va considerato nella sua complessità e non è più possibile ragionare per compartimenti stagni. Opere di ingegneria, cura del territorio, agricoltura periurbana, urbanistica, protezione civile, flood proofing e educazione ambientale, adattamento al rischio, resilienza: interconnettere tutti questi aspetti è l’unico modo per dare un futuro al nostro territorio ed evitare che il fiume ci sommerga ancora.
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